Muoversi 1 2022
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LA TRANSIZIONE ENERGETICA

LA TRANSIZIONE ENERGETICA

NON SI FA A PAROLE

di Claudio Spinaci

Claudio Spinaci

Presidente

Unione Energie per la Mobilità - unem

“Se si vuole realmente perseguire un cambiamento sostenibile, non penalizzante per le imprese ed i cittadini, se si vogliono vincere le sfide ambientali senza retrocedere dagli standard di vita raggiunti, occorre insieme promuovere il confronto sulle tecnologie più efficienti e sul loro reale livello di maturità, liberandoci da qualsiasi pregiudizio”. A distanza di alcuni anni da questo mio auspicio, fatto nel 2018 in occasione della nostra assemblea annuale, devo dire che di pregiudizi ce ne sono sempre di più e di vero confronto sulla reale efficacia delle singole tecnologie sempre meno.

Il dibattito pubblico, soprattutto in Europa, continua ad essere alterato da una presunta superiorità di alcune tecnologie rispetto ad altre, come se per queste tutti i problemi di maturità tecnologica e di  reale sostenibilità fossero già stati risolti. Eppure, in un’epoca di grandi complessità come quella che stiamo vivendo, la semplificazione è un lusso che non dovremmo permetterci, tanto meno  quando si parla di energia.

Ne abbiamo avuto la prova con la recente e repentina impennata dei prezzi dell’energia che ci riporta a tempi che credevamo ormai superati. Allora si cercò di rispondere alla crisi con una gestione coordinata e nel 1974 venne creata l’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) nell’ambito della già esistente Ocse, appunto con il compito di prevenire e fronteggiare eventuali crisi negli approvvigionamenti di energia e nella fattispecie di petrolio. Un’iniziativa fortemente voluta dagli Stati Uniti per mettere in piedi un vero e proprio sistema di emergenza anziché affidarsi ad accordi bilaterali non coordinati, perché, come disse ai tempi Henry Kissinger, “la sola soluzione a lungo termine sta in un massiccio sforzo comune, diretto ad assicurare ai produttori gli incentivi necessari ad aumentare la produzione e ad incoraggiare i consumatori ad usare più razionalmente le disponibilità esistenti e a sviluppare le risorse alternative di energia”

“Se si vuole realmente perseguire un cambiamento sostenibile, non penalizzante per le imprese ed i cittadini, se si vogliono vincere le sfide ambientali senza retrocedere dagli standard di vita raggiunti, occorre insieme promuovere il confronto sulle tecnologie più efficienti e sul loro reale livello di maturità, liberandoci da qualsiasi pregiudizio”. A distanza di alcuni anni da questo mio auspicio, fatto nel 2018 in occasione della nostra assemblea annuale, devo dire che di pregiudizi ce ne sono sempre di più e di vero confronto sulla reale efficacia delle singole tecnologie sempre meno

Da allora quel sistema ha funzionato ed ha garantito per molti decenni all’Occidente una certa stabilità energetica. Oggi i problemi di allora sembrano riproporsi e sono  il frutto delle scelte degli ultimi anni che hanno reso i nostri sistemi energetici più vulnerabili e inadatti a rispondere efficacemente a nuovi shock. L’Occidente, e in particolare l’Europa, ha smesso di preoccuparsi della propria sicurezza energetica, ostacolando la crescita delle fonti tradizionali e dando per scontato che con le rinnovabili avremmo avuto un’ampia e diffusa disponibilità di energia a basso costo. Una convinzione che alla prima vera prova dei fatti è stata smentita. Temo che a poco serviranno le misure indicate dalla “cassetta degli attrezzi” (toolbox) contro il caro energia predisposta a fine 2021 dalla Commissione europea, perché prive di una vera visione strategica capace di garantire la sicurezza energetica del nostro Continente. Un pacchetto di suggerimenti agli Stati membri che ognuno ha interpretato a suo modo, chi riaprendo le centrali a carbone, chi rilanciando il nucleare, chi facendo accordi direttamente con la Russia per avere più gas.

Ha ragione la Commissaria per l’Energia, Kadri Simson, nel sostenere che quella “odierna è una situazione eccezionale” e che il “mercato interno dell’energia ha funzionato bene per vent’anni”, ma per evitare che l’eccezionalità diventi la norma, è necessario abbandonare l’approccio alla transizione energetica del tutto e subito, del salto nel vuoto  e, soprattutto, superare  la logica della contrapposizione tra fonti energetiche valorizzando il contributo potenziale di ciascuna.

Una “guerra” insensata che, come scrive il Prof. Alberto Clô in questo numero, rischia di affossare una transizione non ancora partita, per i costi insostenibili che derivano da un prematuro e forzato abbandono delle fonti tradizionali, vista l’impossibilità a realizzare in breve tempo le profonde riconversioni industriali necessarie.  Di questo sembra avere preso atto, almeno in parte, la Commissione europea includendo nella tassonomia gas e nucleare. Che l’Europa cominci a rendersi conto che avremo bisogno anche delle fonti tradizionali per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione è un fatto positivo, ma alle parole devono seguire i fatti. Anzitutto, si dovrebbe uscire dall’errore di confondere elettrificazione con decarbonizzazione e permettere a tutte le tecnologie di competere e concorrere alla stabilità del sistema energetico ed al raggiungimento degli obiettivi ambientali e, da questo punto di vista, la neutralità tecnologica dovrà tornare ad essere alla base delle politiche europee. L’alternativa è la progressiva perdita di controllo sulla disponibilità delle fonti energetiche tradizionali, come sta accadendo ormai da alcuni anni. Oltre al gas che è sempre stato saldamente nelle mani russe, anche il petrolio sta passando sotto il controllo delle National Oil Companies (NOC), ossia dei Paesi produttori. Gli investimenti in E&P necessari per garantire un’offerta adeguata a soddisfare la maggiore domanda attesa a livello mondiale stanno evolvendo in modo asimmetrico. Nel 2020 gli investimenti globali sono stati tagliati di circa 180 miliardi di dollari (-32%), mentre nel 2021 sono cresciuti di soli 34 miliardi (+9%). Ad investire meno sono state soprattutto le cosiddette Majors (-5% nel 2021), confermando una scarsa attitudine ad impegnarsi in nuovi progetti a lungo termine dovendo, tra l’altro, fare i conti con le difficoltà di accesso a finanziamenti non destinati alla riconversione verso settori “green”. Le NOC, sempre nel 2021, hanno invece aumentato complessivamente del 12% la loro spesa. Le cinesi PetroChina, CNOOC e Sinopec hanno annunciato un vasto programma di investimenti, la ADNOC (Emirati Arabi Uniti) ha stanziato oltre 120 miliardi di dollari nel periodo 2021-2025 e la Saudi Aramco altri 35 miliardi per il solo 2021. Data questa tendenza, nei prossimi anni la copertura del fabbisogno sarà sempre più nelle mani delle NOC e se la domanda dovesse proseguire nella sua crescita l’impatto sui prezzi sarebbe imprevedibile e certamente fuori dal controllo dei Paesi occidentali.

Non so fino a che punto la Commissione europea avrà la forza di resistere alle sirene che, in virtù di un approccio puramente ideologico, sembrano non rendersi conto dei rischi che corriamo e capisca definitivamente che la soluzione non è mettere al bando le fonti tradizionali, ma decarbonizzarle sfruttando al massimo potenziale tutto ciò che ci offre la ricerca e lo sviluppo di tutte le tecnologie oggi disponibili.

In questa direzione vanno i tavoli strategici avviati da Confindustria Energia e dalle Organizzazioni sindacali di categoria che hanno portato alla pubblicazione di un “Manifesto Lavoro-Energia” che si propone con una certa ambizione di indicare un modello per la costruzione di processi di coesione e di dialogo partecipativo per creare convergenza su temi strategici del nostro Paese, come ci spiega più in dettaglio il Presidente Giuseppe Ricci nell’intervista che trovate a pag. 12.

Un’iniziativa che il Premier, Mario Draghi, ha definito “un esempio da seguire in tanti altri campi, in tanti altri settori” perché “la transizione ecologica ha un’importanza esistenziale per tutti noi come individui e per noi come Italia, ed è bellissimo che di fronte a sfide fondamentali per il nostro futuro tutti trovino veramente il modo di andare d’accordo”. Gli ha fatto eco il Ministro della transizione ecologica, Roberto Cingolani, che ha detto di sentirsi “più sicuro sapendo che i produttori e chi tutela il lavoro hanno un percorso comune per trovare il compromesso migliore tra catastrofe sociale e climatica”.

Spero che questa iniziativa porti ad un reale cambio di atteggiamento riguardo alle tematiche della transizione energetica, e si crei lo spazio per continuare la crescita di tecnologie capaci di decarbonizzare le fonti tradizionali. Ideologizzare il dibattito con i soliti pregiudizi non ci aiuterà a trovare soluzioni sostenibili.

L’Italia è sempre stata vulnerabile dal punto di vista energetico e oggi ha l’occasione di affrontare in modo strutturale il problema purché vengano messe da parte contrapposizioni fittizie e non si trasformi l’energia in uno scontro  tra tifosi.

Non so fino a che punto la Commissione europea avrà la forza di resistere alle sirene che, in virtù di un approccio puramente ideologico, sembrano non rendersi conto dei rischi che corriamo e capisca definitivamente che la soluzione non è mettere al bando le fonti tradizionali, ma decarbonizzarle sfruttando al massimo potenziale tutto ciò che ci offre la ricerca e lo sviluppo di tutte le tecnologie oggi disponibili